Siamo al giro di boa del 2023
Il 2023 è iniziato su note veramente molto sfidanti, e qualcuno già dava per scontate un po’ di recessioni per colpa dei falchi delle banche centrali. Ora che siamo arrivati alla metà dell’anno, ci sentiamo di dire che le cose non sono poi andate così male. Anzi. I dati diffusi finora hanno evidenziato un’economia che – a fronte del più rapido innalzamento dei tassi di interesse di tempi di Volcker, degli scenari geopolitici in continua evoluzione e di un’inflazione che sale ancora a tassi abbastanza corposi – ha discretamente tenuto, sia al di qua che al di là dell’Atlantico.
A fine giugno, una raffica di dati ha mostrato una sorprendente forza in diversi settori dell’economia statunitense: gli acquisti di nuove case sono saliti al tasso annuale più incisivo in oltre un anno, gli ordini di beni durevoli hanno superato le stime e la fiducia dei consumatori ha raggiunto il livello più alto dall’inizio del 2022. Tutto questo certamente non esclude la possibilità di una recessione l’anno prossimo, ma dà motivo di ritenere che una flessione non sia dietro l’angolo. Per dirla con le parole del segretario al Tesoro Janet Yellen, "le probabilità di una recessione sono diminuite".
Il tech fa da locomotiva
Le trimestrali diffuse nel corso della primavera hanno tutte sorpreso in positivo. La rinnovata attenzione intorno all’Intelligenza Artificiale ha determinato un rialzo importante dei titoli tech, che hanno trascinato i relativi settori e, di riflesso, i listini azionari.
Un po’ questo, un po’ il fatto che le cose non sono andate così male come si era temuto, questa prima metà dell’anno si è rivelata alla fine molto buona per i mercati azionari, con le azioni globali, misurate dall’MSCI World, che hanno registrato un incremento del 12,2% da inizio anno al 27 giugno.
E così, chi all’inizio dell’anno si è tenuto lontano dagli investimenti, scoraggiato magari dalle molte previsioni fosche dei grandi analisti (rimaste in larga parte sulla carta, per ora), ha perso un’interessante occasione per entrare sui mercati. C’è una buona notizia: può imparare la lezione e farne tesoro per i prossimi sei mesi. Ma prima, proseguiamo con il nostro recap dei temi e degli eventi dei primi sei mesi del 2023.
L'inflazione ha perso i superpoteri?
L’inflazione ci accompagna da quasi due anni – i rialzi dei prezzi hanno preso il via nell’autunno del 2021 con le riaperture post Covid e ha poi ricevuto una robusta spinta dal complicato scenario geopolitico che si è aperto nel cuore dell’Europa nel febbraio del 2022 – e, poco ma sicuro, ci accompagnerà ancora per tutto quest’anno almeno. Ma attenzione: le percentuali che misurano l’ammontare della variazione periodica hanno già iniziato la loro discesa.
Una discesa certamente non rapidissima e che al momento riguarda soprattutto il dato complessivo, mentre il dato core appare più resistente. Ma ci sta, ci vuol tempo per far scendere i prezzi. E non dobbiamo comunque dimenticare che nel giro di un semestre siamo riusciti a passare da una variazione annua a doppia cifra a un’inflazione più gestibile. Un trend di discesa molto evidente negli Stati Uniti d’America.
Prezzi in calo anche in Europa, con il Vecchio Continente che, complice il freddo molto mite, è riuscito a schivare la temuta crisi energetica, spauracchio dell’autunno e dell’inverno passati che per fortuna non si è tramutato in realtà.
Cos'hanno fatto e cosa faranno le banche centrali?
Il paziente sta meglio, ma non è del tutto fuori pericolo: per questo i fari continuano a essere puntati sulle banche centrali. Cosa faranno? Finora, la Fed ha portato i tassi al 5-5,25% e lì si è fermata, prendendosi una "pausa da falco" al meeting di metà giugno. L’ultimo aggiornamento di Powell ha lasciato presagire altri due rialzi – forse anche consecutivi- da 25 punti base entro la conclusione del 2023.
La BCE, da parte sua, ha operato un rialzo da un quarto di punto percentuale a metà giugno e mette già in conto un altro aumento di pari entità nella riunione di luglio. Sempre a giugno la Bank of England ha calato l’asso dei 50 punti base in più, dal 4,50% al 5%, per far fronte a un’inflazione che anche nel Regno Unito non è più a doppia cifra, ma che comunque continua a segnalare rialzi consistenti.
Altrove (vedi Cina e Giappone) le banche centrali hanno optato per una linea ancora molto accomodante. Sembrerebbe acuirsi quindi la divergenza con le economie avanzate del mondo occidentale, senonché molti si aspettano che anche qui il picco dei rialzi sia vicino. Quel che rimane da fare, ora, è aspettare di vedere l’effetto che le condizioni creditizie più restrittive avranno sull’economia reale.
Grande interesse sul btp ma è l'azionario italiano la vera stella
Contrariamente ai pronostici e alle mille cautele di inizio anno, l’azionario si è difeso più che bene: rispetto ai valori dei primi di gennaio, l’S&P 500, che è l’indice di riferimento dell’equity globale, ha riportato un +12,7%. Ma a distinguersi nel semestre sono stati soprattutto il Nasdaq 100, l’indice tecnologico della Borsa USA, trainato dall’Intelligenza Artificiale e dalle attese sulla domanda di semiconduttori e chip, e il Nikkei 225 giapponese, che ha raggiunto il livello più alto dal 1990, riflesso di un’economia che cresce anche sulla spinta degli investimenti dall’estero.
Come si vede, anche il nostro FTSE MIB ha dato buona prova di sé in questa prima metà dell’anno, nel contesto di un’economia che le principali istituzioni nazionali e internazionali (non solo l’Istat e la Banca d’Italia, ma anche l’OCSE e il Fondo Monetario Internazionale) prevedono in crescita quest’anno e il prossimo. Il nostro FTSE MIB è tra le Borse più redditizie del primo semestre del 2023 insieme al Nasdaq americano. Entrambe hanno registrato infatti performance a due cifre nell’arco di questi sei mesi, con un rialzo di oltre il 14% per il listino milanese che è riuscito a superare Parigi e Francoforte.
Primo semestre 2023: quale insegnamento fare nostro?
Quando il gioco si fa duro, i duri cominceranno pure a giocare, ma la maggioranza di noi si fa prendere dall’esitazione e si mette alla ricerca di un rifugio per i propri soldi. Ci sta. Questo rifugio, nel primo semestre del 2023, in Italia è stato rappresentato molto bene dal BTP nelle sue varie versioni indicizzate all’inflazione, che hanno avuto un ottimo riscontro in termini di domanda.
I dati che vediamo oggi, al termine di un primo semestre che non è stato disastroso come si temeva, ci dicono però che in ogni fase di mercato conviene restare fedeli alla regola di sempre: diversificare, diversificare, diversificare. Attenzione a comprare solo titoli di Stato e obbligazioni sull’onda dell’entusiasmo e dell’hype del momento: serve dare spazio in portafoglio anche all’azionario, che, come abbiamo visto, può regalare rendimenti superiori.
Il trucco è sempre lo stesso: non fissarsi sulle oscillazioni quotidiane e sulle previsioni ma allungare lo sguardo al medio-lungo termine.
Tech, dati ed NVIDIA
Semisconosciuta a chi? Parliamo di Nvidia, azienda statunitense leader da circa trent’anni nel settore delle schede grafiche, definita nel titolo di un articolo del Corriere della Sera come "azienda semisconosciuta" che ora grazie all’AI "vale mille miliardi". Ne parliamo perché in realtà non era un’azienda così "di nicchia". Negli ultimi decenni, bastava recarsi in uno store a comprare un pc per imbattersi nel nome Nvidia, che infatti possedeva quasi il monopolio delle schede grafiche che li fanno funzionare (con tanto di adesivo grande ben stampato sulla tastiera).
Sì, perché l’azienda in questione è sempre stata leader di mercato nella produzione di schede grafiche, ma forse non era abbastanza per diventare famosa. Ed ecco che però nell’ultimo periodo è passata alla ribalta per investimenti che forse creano più "hype", come quello nell’Intelligenza Artificiale. Questo ci fa capire almeno due cose importanti: attualmente sono le aziende tech che investono nell’Intelligenza Artificiale ad avere i risultati migliori; tutto questo sta nuovamente facendo brillare il settore tech sui mercati azionari.
I dati infatti fotografano un azionario trainato di nuovo dai titoli tecnologici. Il Nasdaq 100 ha battuto il più ampio S&P 500 grazie al ritrovato interesse nell’Artificial Intelligence che ha contribuito ad accendere i fari su nuovi colossi, che, in verità, erano non così sconosciuti agli addetti del settore finanziario.
Effetto Nvidia sul Nasdaq100
Nvidia ha per anni prodotto chip informatici in grado di far girare videogiochi ad alta grafica. Ma diversi anni fa, i ricercatori dell’Intelligenza Artificiale hanno iniziato a utilizzare gli stessi chip per far lavorare i potenti nuovi algoritmi che stavano causando importanti avanzamenti nel campo (vedi Chat GPT). Il boom attuale è avvenuto perché i suoi chip GPU sono particolarmente adatti per elaborare enormi quantità di dati necessari per addestrare programmi di Intelligenza Artificiale all’avanguardia come il PaLM 2 di Google o il GPT4 di OpenAI.
E così Nvidia ha continuato a sviluppare costantemente il suo settore dedicato all’AI negli ultimi anni, e l’ultima esplosione di interesse e investimenti nel settore negli ultimi sei mesi ha potenziato le sue vendite in modo significativo.
Di conseguenza, nel primo trimestre conclusosi il 30 aprile 2023 ha annunciato un fatturato di 7,19 miliardi di dollari, in calo del 13% rispetto a un anno fa ma in crescita del 19% rispetto al trimestre precedente. Soprattutto, una trimestrale accompagnata da previsioni molto buone sulla domanda di chip, proprio per effetto dell’AI. Così buone da spingere la capitalizzazione della multinazionale, inclusa nel Nasdaq 100, verso il traguardo dei 1.000 miliardi. Con il suo +170% da inizio anno, Nvidia è ad oggi la migliore del listino.
Prima ancora di guardare direttamente all’AI, quindi, bisognerebbe concentrarsi sul ruolo dei chip. E con essi i semiconduttori e le aziende che se ne occupano. Della serie, non fermiamoci a guardare il dito, ma puntiamo alla luna. Può sembrare una frase fatta, ma in realtà è un dato di fatto: i semiconduttori (e i chip) sono alla base del funzionamento degli strumenti di AI e sono praticamente il nuovo petrolio.
Semiconduttori. Materiali intermedi tra i conduttori e gli isolanti, vengono utilizzati per la produzione dei chip che equipaggiano smartphone, personal computer, tablet, console di gaming e via dicendo. Chip. Noti anche come circuiti integrati, sono fondamentali per tutte quelle tecnologie che guidano la trasformazione digitale, inclusa l’Intelligenza Artificiale.
Non solo investimenti, c'è anche la geopolitica
Chi c’è nella "OPEC dei semiconduttori"? Taiwan, Cina e Stati Uniti sono i tre Paesi che, come sottolinea l’ISPI in un suo approfondimento, oggi si spartiscono i vari primati: Taiwan nella produzione di semiconduttori, la Cina nella produzione e nell’esportazione di terre rare (essenziali anch’esse per la realizzazione dei vari device della transizione digitale) e gli Stati Uniti nello sviluppo dei software.
Più che alleati, però, qui parliamo di rivali: Stati Uniti e Cina sono infatti le stesse due nazioni che si contendono Taiwan. E non è un caso: Taiwan, letteralmente, svetta in un settore sempre più decisivo.
Previsti investimenti ingenti anche in Europa
Anche l’Europa si attrezza. L’anno scorso gli Stati Uniti hanno adottato il Chips and Science Act, che prevede 39 miliardi di dollari di incentivi per la produzione e 13,2 miliardi di dollari per la ricerca e lo sviluppo. E in continuità con il suo predecessore Trump, il presidente Biden ha proposto Chip 4, un’alleanza con Taiwan, Giappone e Corea del Sud. L’Unione Europea, dal canto suo, non è rimasta a guardare: ha varato infatti il Chips Act, una manovra da 43 miliardi di euro. L’obiettivo è raddoppiare dal 10% al 20% la quota europea nella produzione di semiconduttori a livello mondiale.
Non finisce qui. La Commissione Europea ha anche approvato un pacchetto da 8,1 miliardi di euro destinato agli aiuti di Stato per la produzione di semiconduttori nel Vecchio Continente. Saranno 56 le aziende di diverse dimensioni che vi attingeranno allo scopo di realizzare 68 progetti in 14 Stati membri. Tra questi c’è anche l’Italia, che parteciperà con StMicroelectronics, Memc, Menarini Silicon Biosystems e Siae Microelettronica.
La Commissione UE spera in una sorta di "effetto leva", e cioè che il denaro pubblico porti 13,7 miliardi di euro di investimenti privati, mobilitando così un totale di quasi 22 miliardi di euro da qui al 2032, data nella quale i progetti dovrebbero raggiungere la fase finale. I primi prodotti potrebbero essere disponibili sul mercato già nel 2025.
Semiconduttori, chip e portafogli
Come tutti i grandi topic del momento – ti abbiamo parlato di recente dell’Intelligenza Artificiale e dei veicoli elettrici – anche i semiconduttori costituiscono un tema di investimento. Per il tramite magari di un fondo ben diversificato che segua l’esempio di uno dei grandi indici di settore e investa in un paniere di titoli riconducibili al comparto. E’ sempre bene ricordare, infatti, che la diversificazione è fondamentale: mai mettere tutte le uova in un unico paniere. A maggior ragione, poi, se si parla di innovazione non è semplice comprendere in anticipo chi rivoluzionerà il futuro con un nuovo prodotto o servizio.
Tetto al debito USA: spavento sventato per i mercati
Non è l’inflazione e neanche il rialzo dei tassi d’interesse il tema su cui vogliamo soffermarci oggi. Strano vero? Sì, perché nelle ultime settimane a tenere banco sui mercati è stato il debito statunitense. Un debito che in vista della scadenza di giugno aveva raggiunto il suo limite prestabilito e che doveva essere rinegoziato. Missione non facile, in un clima politico totalmente diviso fra Congresso e Casa Bianca. Solitamente la rinegoziazione del tetto sul debito è una pratica di routine, ma quando sei un presidente Dem e hai un Congresso diviso con una Camera a maggioranza Repubblicana, le cose non sono proprio così "easy".
Tanto che fino a una manciata di giorni fa il default del governo statunitense sul debito è parso una possibilità concreta. Il Congresso USA non riusciva a decidere su quanto il governo americano potesse prendere in prestito e la mancanza di progressi aveva cominciato a preoccupare gli investitori a ridosso della temuta scadenza di giugno.
Ma tutto è bene quel che finisce bene: dopo settimane di discussioni, l’accordo è stato trovato. Gli Stati Uniti alzeranno il tetto del debito di 31,4 trilioni di dollari, evitando in extremis la minaccia di default e consentendo a Washington di onorare i suoi pagamenti fino all'inizio del 2025.
Perchè si è parlato addirittura di default negli states?
Come abbiamo visto, il "tetto del debito" non è altro che un limite massimo alla quantità di denaro che il governo americano può prendere in prestito per pagare i suoi debiti. Quando questa quantità si avvicina al limite prestabilito, il tetto deve essere rivisto al rialzo attraverso un accordo tra Congresso e Casa Bianca.
Cosa sarebbe successo se non si fosse raggiunto un agreement? Potevamo trovarci davanti a un default sul debito degli Stati Uniti. In poche parole, gli USA non avrebbero potuto pagare gli stipendi federali, le pensioni militari e tutti i creditori, ossia le persone che detengono i suoi titoli di debito.
I titoli del governo degli Stati Uniti sono considerati tra gli investimenti più sicuri al mondo, cosicché lo spauracchio del default ha riacceso non poche perplessità sul ruolo dei titoli di debito nei nostri portafogli. Un ruolo imprescindibile ma che, alla luce di quest’ultimo fatto e dell’andamento degli ultimi anni, forse va riportato alle giuste dimensioni.
Il ruolo di obbligazioni e titoli di stato: parliamone
Il 2022 è stato un anno straordinario per il mercato obbligazionario, ma non in senso positivo. L’indice Bloomberg U.S. Aggregate Bond - una proxy dell’ampio mercato obbligazionario statunitense - ha registrato una perdita del 13% nel 2022, che di per sé non sarebbe così rilevante. Ma visto che molti investitori detengono obbligazioni in quanto asset che dovrebbe rappresentare uno scudo nel momento in cui le azioni scendono, ecco, non è stato questo il caso.
Per la prima volta dal 1969, nel 2022 azionario e obbligazionario hanno subito perdite a due cifre nello stesso anno, come ci dimostra il confronto tra le perdite sofferte dagli investitori in fondi a rischio più contenuto – quindi più esposti all’obbligazionario – e quelle registrate da chi invece ha investito in fondi associati a un grado di rischio più elevato. Il grafico che segue ci fa vedere come, nell’ampio mercato dei fondi multi-asset, il settore a più basso rischio abbia subito perdite di circa il -10% su 12 mesi, un dato in linea con quello del settore a rischio più alto.
Perché le obbligazioni hanno fatto così male nel 2022? I prezzi delle obbligazioni e i tassi di interesse si muovono in direzioni opposte. E tutti sappiamo quello che stanno facendo le banche centrali in questi due anni: la Federal Reserve ha aumentato i tassi come mai aveva fatto negli ultimi 40 anni. Questo ha causato perdite massicce all’interno delle obbligazioni. Un asset generalmente sicuro, ma non necessariamente. Gli investimenti in obbligazioni sono influenzati infatti dai tassi d'interesse, dall’inflazione e dal rating del credito. E se anche per gli USA si è parlato del rischio di default, possiamo immaginare per gli altri Paesi con rating decisamente inferiori. Questo però non significa che non dobbiamo inserirle nei nostri portafogli: significa scegliere con cura e non dare per scontato che parliamo di asset sicuri al 100%.
Nessun asset è risk free
Molti di noi sono cresciuti nell’era della bassa inflazione, il che ha significato sostanzialmente che la correlazione media tra azioni e obbligazioni è stata per lo più negativa. Negli ultimi 20 anni, le obbligazioni hanno quindi rappresentato un efficace diversificatore per le azioni. La situazione però è cambiata lo scorso anno, quando l’inflazione globale ha superato il 10% e l’incertezza sul suo abbattimento è aumentata. Sono così tornate le correlazioni positive degli anni Settanta e le obbligazioni hanno perso il loro valore di diversificatore rispetto alle azioni. Un ruolo, quest’ultimo, che hanno da poco iniziato a riscoprire, in virtù del ritorno sulla scena della correlazione negativa tra azionario e bond.
Le azioni, dal canto loro, rappresentano ancora un’ottima copertura a lungo termine contro l’inflazione grazie al premio al rischio storicamente superiore al tasso d’inflazione. Per gran parte dell’ultimo decennio le azioni hanno superato in scioltezza le obbligazioni, che registravano tassi vicini allo 0% e pochi rendimenti aggiuntivi, i quali si potevano trovare unicamente nei settori più rischiosi del reddito fisso. Questo periodo è stato definito "TINA", ovvero "There Is No Alternative" (non c’è alternativa) al possesso di azioni quando i tassi sono bassi e il rendimento è scarso.
Sebbene oggi, con il ritorno di una più convincente remunerazione nel reddito fisso a breve scadenza e non solo, esistano alcune alternative concrete rispetto agli standard storici, il premio al rischio azionario odierno rimane piuttosto ragionevole anche rispetto alle obbligazioni indicizzate all’inflazione.
Morale della favola? Serve un bel bilanciamento tra bond, equity e altri strumenti scudo. Ecco perché la soluzione è sempre diversificare e basare la costruzione del proprio portafoglio su fondi ben diversificati e costruiti tramite analisi di mercato professionali.
I soldi sono il mezzo per costruirsi un futuro migliore
“Il tempo è denaro”, recita un vecchio adagio. Ma potremmo dire che è vero anche il contrario: il denaro è tempo. Sì, perché ci vuole tempo per pianificare i guadagni e ci vuole tempo per gestirli. Ma bisogna anche darsi il tempo per capire quale destinazione dare loro, verso quale progetto di vita indirizzarli: una nuova casa, un’auto nuova, una famiglia, un’attività imprenditoriale o artistica, la scuola e l’università dei figli, gli anni della pensione altrove, magari al mare, magari all’estero.
Quando si parla di progetti di vita, o semplicemente di serenità finanziaria, il pensiero degli italiani corre spesso alle cose che contano: persone, affetti, avvenimenti, momenti, come segnala Research Dogma in una recente indagine. Per ciò che conta va trovato il tempo, certo, ma non solo: occorrono anche le risorse. Anche sotto questo punto di vista, secondo Research Dogma il 64% degli italiani ha buone intenzioni: ritiene infatti che sia importante dedicare del tempo a ragionare sui vari progetti di vita con un buon consulente finanziario, in grado di aiutarli a trovare le soluzioni che consentano di tramutarli in realtà.
Fatto sta che l’orizzonte temporale è fondamentale nella definizione degli obiettivi, di qualunque tipo essi siano. La buona finanza sa fare anche questo: aiutare a costruire un progetto finanziario di medio-lungo periodo, evitando a chi vi si affida di perdersi nelle ansie quotidiane dei mercati e di prendere quindi la decisione sbagliata nel momento sbagliato.
Il ruolo del tempo nella gestione del denaro
Nella gestione del denaro, il tempo è una leva fondamentale. Solo dando tempo al tuo denaro puoi ottenere risultati importanti, a prescindere dal tuo capitale di partenza. Su questo gli italiani interpellati da Research Dogma hanno espresso posizioni molto sagge, con tre convincimenti sui quali possiamo tutti concordare.
• Pianificare bene la gestione dei risparmi (piccoli o grandi che siano) nel tempo, senza preoccuparsi degli alti e bassi dei mercati, rende più sereni e libera tempo per le cose che contano (77%).
• Meglio sfruttare il tempo investendo i risparmi un poco per volta per ottenere migliori risultati e accumulare un capitale, piccolo o grande che sia (72%).
• Mantenere un investimento in azioni/fondi azionari per diversi anni aiuta a diminuire il rischio e aumenta i risultati (58%).
Basta avere buone idee per adottare buoni comportamenti?
No, non basta. Un conto, infatti, è identificare le cose importanti per noi e ciò che ci fa battere il cuore, un altro è dedicare tutto il tempo necessario a questi elementi di valore, per il nostro benessere e per quello dei nostri cari. Lo stesso accade con le strategie finanziarie: gli italiani hanno le idee, ma per passare dal piano teorico a quello pratico e concreto queste idee hanno bisogno di un supporto concreto, dalla consulenza finanziaria innanzitutto. E la consulenza serve appunto a questo: a tracciare e lastricare la strada verso la realizzazione delle tue idee.
Passaggio generazionale: 1.915 miliardi verso i Millennial
Non solo calcio, cibo, lusso e motori: tra i record europei più o meno positivi che deteniamo come popolo italiano c’è anche quello che riguarda i lasciti testamentari: noi italiani riceviamo ogni anno più di 200 miliardi in lasciti e testamenti. In rapporto al reddito del Paese è un vero e proprio record europeo. Del resto, si può tranquillamente dire che la differenza oggi la fanno ancora i risparmi “degli anni d’oro”, gli anni degli yuppies e di “Drive in”. Risparmi che senza tanti giri di parole comprano le case a figli e nipoti di oggi. Figli e nipoti che però spesso si ritrovano con immobili lasciati in eredità che portano più costi che altro o capitali che rischiano di venir piano piano erosi dall’inflazione, oggi sempre più alta. Della serie: 100 euro oggi, 100 domani, in dieci anni non sono certo uno scherzo.
Esiste infatti tutta una generazione di nati dal secondo dopoguerra in poi alle prese con la prospettiva della consegna del testimone ai propri figli e figlie. Un testimone che ha per oggetto i soldi del miracolo economico italiano, ossia case, seconde case, auto, barche, denari, titoli e altre proprietà. Insomma, tutti quei soldi che giravano tra gli anni ‘80 e ‘90 nelle tasche di una generazione nel pieno del boom industriale del nostro Paese. Le stime parlano di circa 2mila miliardi di ricchezza che si prepara a passare dalle mani degli yuppies a quelle della “generazione Internet”, una generazione che per fare i pessimisti (o pragmatici) di turno sulla carta risparmia meno, ha lavori più precari e un futuro pensionistico non proprio roseo.
Passaggio generazionale: chi si prepara a ricevere il testimone?
Le stime dell’Istat ci informano che:
• nel nostro Paese vivono quasi 15 milioni di italiani che per età si collocano in pieno dentro la Generazione X, vale a dire quella dei nati tra il 1964 e il 1979;
• oltre 11 milioni di italiani sono Millennial, ossia nati tra il 1980 e il 1997;
• più di 8 milioni fanno parte della Generazione Z (nati tra il 1998 e il 2012). Di questi, i maggiorenni ad oggi sono più di quattro milioni e mezzo.
Insomma, dopo tutto il gran parlare che da anni facciamo a proposito dei “Boomer” alla fine scopriamo che oggi a comandare la scena c’è la Generazione X. Secondo un report di qualche tempo fa del think tank britannico Resolution Foundation, hanno raggiunto i 30 anni con un reddito più alto del 30% rispetto ai Baby Boomer1.
Questi 15 milioni di individui, che si sommano ai circa 13 milioni di Boomer, per un totale che si avvicina a quota 30, nei prossimi anni saranno protagonisti di un trasferimento di ricchezza veramente notevole: secondo alcune stime, entro i primi anni Trenta di questo millennio nel nostro Paese Baby Boomer e Generazione X trasferiranno ai Millennial ben 1.915 miliardi di ricchezza in euro2.
Fin qui, il quadro della situazione. Ora, la domanda è: siamo preparati a gestirla?
Stai gestendo al meglio il tuo capitale?
Un dato di fatto: in Italia non siamo molto ferrati nella gestione del denaro, sotto nessun punto di vita, sia esso finanziario, assicurativo o fiscale; sappiamo accantonare i soldi nel conto corrente e poco più. Per non parlare della successione, alla quale scaramanticamente – e molto poco razionalmente – nessuno vuole pensare. Tutto questo, però, ha un costo.
Secondo recenti dati Fabi3, la ricchezza finanziaria degli italiani a fine 2021 superava i 5.256 miliardi di euro, in rialzo di quasi 1.700 miliardi (+50%) nell’ultimo decennio. Ma “la liquidità resta la forma preferita di allocazione del risparmio”. Il contante è cresciuto di 509 miliardi (+45%), a quota 1.629 miliardi, e ciò significa che la percentuale di denaro lasciato su conti correnti e depositi si conferma al 31% del totale delle masse. Una scelta che però finisce con l’erodere il valore del patrimonio. Ti abbiamo detto tante volte che negli investimenti il tempo è un alleato, specialmente se si reinvestono gli interessi. Bene: quando scegli di non investire, diventa il tuo nemico numero uno. Guarda qua.
In pratica, investendo un capitale iniziale di 10.000 euro e reinvestendo gli interessi, otteniamo una crescita del valore che ci porta, dopo 20 anni, a un montate finale superiore ai 21mila euro, ipotizzando un interesse annuo del 4% che lavora non solo sul capitale iniziale ma anche sugli interessi gradualmente maturati e reinvestiti, appunto. Tenendo quegli stessi 10.000 euro fermi sul conto, dopo lo stesso numero di anni ci ritroviamo con un gruzzolo che nominalmente è ancora di 10.000 euro ma che realmente ha un valore pari a meno di 7mila, per effetto di un tasso di inflazione che noi, qui, ipotizziamo generosamente e ottimisticamente al 2% annuo – come da obiettivo Fed e Bce – assai più basso delle variazioni tendenziali alle quali abbiamo assistito a partire dall’autunno del 2021.
Cosa fare se si eredita un capitale, piccolo o grande che sia
Se sei nato negli anni Ottanta e Novanta, sei cresciuto in un contesto di tassi eternamente a zero e di inflazione anemica. Da oltre un anno, però, le cose sono cambiate. E tu, cosa stai facendo? Il report “Gen Z e Millennial Survey 2022”4 di Deloitte, ci conferma che hai bisogno di investire per la pensione, per esempio, perché sarà più magra rispetto a quella dei tuoi genitori e perché, per contro, la tua aspettativa di vita sarà più lunga.
Cosa pensi di fare con i tuoi risparmi e, soprattutto, con la ricchezza che potresti ereditare? Se la tua idea è quella di mettere tutto in un cantuccio e attingere al bisogno, tenendolo fermo in balia di tasse e inflazione, forse dovresti un attimo ripensarci. D’altro canto, tendiamo a imitare chi ci ha preceduto. Nel suo Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane5, Consob di dice che, “per quanto riguarda i possibili impieghi del risparmio dato l’attuale contesto economico, il 23% degli intervistati indica l’investimento immobiliare” e “in particolare i più giovani, benestanti e con maggiori conoscenze finanziarie”. Ma il mattone non è la soluzione a tutte le domande.
Cosa fare, allora? Agire senza aspettare oltre, confrontandoti con una consulenza finanziaria professionale. Al consulente finanziario, infatti, il compito di aiutarti a capire quanto puoi guadagnare investendo. E quanto rischi di perdere non facendolo o facendolo in modo non corretto.
Cosa è successo ad Aprile sui mercati?
Il mese appena concluso si è caratterizzato per una riduzione dell’inflazione, ma anche per una continua fase di stabilizzazione dei mercati che ancora attendono dei segnali forti confortanti per riprendere la corsa.
Il settore bancario resta ancora il protagonista anche nel mese di aprile. In America la crisi della First Republic, che si aggiunge a quelle della Silicon Valley Bank e della Signature Bank, ha avuto riflessi sui mercati azionari: è stato così anche in Italia, dove i titoli bancari pesano molto sul paniere principale.
Forti i riflettori sulle decisioni delle banche centrali, mentre l’inflazione, che a marzo aveva segnato una robusta frenata in Europa, ad aprile ha cominciato a rialzare la testa. Anche se c’è un aspetto positivo: l’inflazione core, ossia al netto di beni energetici e alimentari, è rimasta stazionaria nel mese.
I principali fatti del mese
- A seguito di un periodo di calma, negli Stati Uniti è riesplosa la bufera sul settore bancario. Dopo i casi Silicon Valley Bank e Signature Bank, infatti, nella parte finale del mese si è riacutizzata la crisi di First Republic, dopo che l’istituto ha annunciato di aver perso 100 miliardi di dollari di depositi nell’ultimo trimestre. La Federal Deposit Insurance Corporation, quindi, ha deciso di intervenire dopo aver cercato, invano, di trovare una soluzione tra privati. L’agenzia federale ha quindi posto in amministrazione controllata l’istituto e aggiudicato l’asta a Jp Morgan Chase, la più grande banca degli Stati Uniti. La vera domanda che si pongono i mercati, ora, è se quello di First Republic sarà l’ultimo salvataggio oppure se ne saranno necessari altri.
- In Europa, nonostante le perdite in Borsa dei titoli bancari, sono arrivati segnali incoraggianti. Deutsche Bank, per esempio, ha chiuso il trimestre con conti molto robusti. Era un test molto importante, poiché la banca tedesca era stata bersagliata dalle vendite e considerata dal sistema bancario mondiale il prossimo anello debole dopo Credit Suisse.
- Lato macro, negli Stati Uniti la crescita trimestrale è frenata al +1,1%, rallentando più delle previsioni degli analisti, che ora temono una recessione in avvicinamento. In Europa, i dati sul Pil sono stati nel complesso buoni: se da una parte un Paese importante come la Germania ha avuto una flessione dello 0,1%, l’Italia e la Spagna hanno registrato un +0,5% nel trimestre e pure la Francia ha riportato un dato positivo (+0,2%).
- Inflazione in chiaroscuro: nell’Eurozona è tornata a salire al 7% (dal 6,9%). In Italia, il dato aggregato ha fatto segnare un +8,3%, ma la buona notizia è che l’inflazione core è rimasta stabile al +6,3%, senza salire ulteriormente. E in Usa? Meglio: le strette della Fed cominciano a funzionare, con il dato complessivo sceso al 5%, oltre le aspettative al 5,6%.
- In Usa sono arrivati i conti trimestrali delle grandi banche (tutti molto positivi). Bene anche i conti di Meta e di Amazon, nonostante quest’ultima abbia registrato una frenata sul cloud.
- Nel resto del mondo, la crescita cinese va forte e traina i titoli del lusso. Basti pensare che Lvmh è diventata la prima azienda europea a sforare il mezzo miliardo di capitalizzazione di mercato.
Conclusioni
Il mese che si apre offre ancora spunti sui conti trimestrali in Italia: Intesa Sanpaolo li pubblicherà il 5 maggio, UniCredit il 3 maggio. Buoni risultati rafforzerebbero ancora di più la visione di un sistema bancario solido.
Resta ancora l’inflazione il driver del prossimo futuro anche per comprendere la strada che dovranno ancora percorrere le banche centrali.
A distanza ormai di più di 15 mesi, per gli investitori di lungo periodo questo non può che essere un momento adatto per rivisitare la propria pianificazione cercando di comprendere possibili miglioramenti e occasioni per aumentare i rendimenti medi dei propri portafogli.
Per l’investitore prudente e con orizzonti temporale breve/medio se ha preso le giuste decisioni negli anni passati sembra sempre più vicino il ritorno ad una “normalità” o meglio confidenza con l’immaginario italiano di “investimenti a basso rischio” con il ritorno prepotente dei rendimenti sugli asset obbligazionari.
Cosa è successo a Marzo sui mercati?
Si chiude un mese all’insegna delle montagne russe. Crisi bancarie partite dagli Stati Uniti e poi approdate in Europa, il crollo di #CreditSuisse poi acquistato da #Ubs sono stati i driver.
Il timore che il contagio si potesse propagare ulteriormente ha inizialmente fatto scendere le Borse, in particolare i titoli bancari e finanziari. A ciò ha fatto però seguito un corposo recupero, in scia alle rassicurazioni delle principali autorità mondiali.
Lato opposto, a dare manforte alla ripresa una serie di buoni dati sull’inflazione, che hanno cominciato a far prezzare ai mercati il possibile raggiungimento del picco sui tassi d’interesse da parte della Federal Reserve e, a breve, della Banca centrale europea.
I principali fatti del mese
- Come si accennava, le protagoniste assolute dell’ultimo mese sono state le banche. Tutto è partito dalla Silicon Valley Bank, la sedicesima banca degli Stati Uniti, che è crollata per aver cercato invano un aumento di capitale dopo aver subito una perdita di 1,8 miliardi di dollari. L’istituto, trovatosi in crisi di liquidità a seguito della stretta monetaria della Fed, si è visto costretto a dismettere una parte del suo portafoglio di bond a lunga scadenza, che a causa della crescita dei tassi avevano perso valore. Il 9 marzo l’istituto californiano ha perso il 62% in Borsa, con conseguente fuga dei depositi che ha reso necessario, il giorno successivo, un intervento delle autorità federali, le quali hanno nominato la Federal Deposit Insurance Corporation come curatore fallimentare. Il contagio si è poi propagato ad altre banche Usa, dalla Signature Bank (poi fallita) alla First Republic Bank, facendo temere per la tenuta delle banche regionali, al centro di una crisi di fiducia.
- In un mondo iperconnesso, non ci è voluto molto affinché un altro grande istituto in salute precaria, la svizzera Credit Suisse, finisse in difficoltà. La Saudi National Bank, primo azionista con il 9,9%, ha dichiarato con il suo presidente che non avrebbe partecipato a un nuovo aumento di capitale, facendo deflagrare la crisi. A tal punto che il 19 marzo, in un salvataggio concertato dalla Banca nazionale svizzera, Ubs è arrivata ad acquisire la banca rivale per 3 miliardi di franchi.
- Ha fatto discutere, nel salvataggio della banca elvetica, la scelta di sovvertire i criteri di assorbimento del capitale. L’aver azzerato prima una particolare categoria di bond, gli AT1, ha spaventato i mercati, innescando una nuova pioggia di vendite. A pagarne le conseguenze è stata un’altra grande banca europea, Deutsche Bank, che è arrivata a perdere in Borsa fino all’11,6%. I timori sono poi rientrati, con le rassicurazioni delle autorità europee sul rispetto delle regole del bail-in (che prevedono prima l’azzeramento degli azionisti, poi quello degli obbligazionisti) e sulla solidità di Deutsche Bank e del sistema nel suo complesso.
- Tra le buone notizie c’è la discesa dell’inflazione, che a marzo è calata sensibilmente in Germania, Spagna e Italia. In particolare, nel nostro Paese, l’inflazione annua è scesa al 7,7%, rispetto al 9,1%, trascinata principalmente dal ribasso dei prodotti energetici.
Conclusioni
Continua la guerra di nervi tra i mercati e gli investitori, quindi sarà fondamentale aver ben salde le proprie convinzioni sul “perché” state investendo.
Da tenere sotto la lente per questo mese i dati sull’inflazione e le prossime mosse di politica monetaria. Gli analisti scommettono ora su un rallentamento dei rialzi, ma per scoprirlo bisognerà attendere le riunioni in programma a maggio, per le quali saranno fondamentali i dati sui prezzi di aprile e i primi risultati sul Pil del 2023.
Lato Cina il conseguente ritocco verso l’alto delle stime economiche potrebbe portare qualche rialzo sui prezzi del petrolio, mentre in Europa il focus sarà sull’inizio della stagione di riempimento degli stoccaggi, che tuttavia non dovrebbe serbare particolari sorprese.
Ultimo, ma non certo per importanza, il conflitto russo-ucraino, in caso di svolte (positive come negative) potrebbero esserci ripercussioni sui corsi azionari. Al momento, si attende una possibile controffensiva dell’Ucraina a primavera o comunque prima dell’estate.
Nonostante i fatti di quest’ultimo mese, che ci sono ed è normale ci siano come sempre, i mercati continuano la marcia verso la ricerca di un equilibrio macinando performance positive da inizio anno.
Consulenza Finanziaria Awards 2023
Citywire Italia, anche quest'anno e per la seconda volta, ha voluto premiare le eccellenze dell'advisory con i Consulenza Finanziaria Awards. I premi, assegnati a marzo di quest'anno, hanno voluto individuare in maniera trasparente le società più apprezzate dell'anno attraverso il giudizio di una giuria indipendente. I singoli consulenti finanziari, invece, sono stati votati direttamente dalla comunità dei nostri lettori sulla pagina dedicata, parte del sito Citywire.it.
Le categorie dedicate alle eccellenze individuali sono 12. Abbiamo iniziato con il migliore consulente abilitato all'offerta fuori sede e con il miglior consulente autonomo. C'è poi il miglior professionista con oltre dieci anni di esperienza. C'è anche un riconoscimento per i professionisti più giovani, al di sotto dei 40 anni. A seguire, i premi a livello regionale: in questo caso, abbiamo voluto dedicare spazio alle principali regioni d'Italia dove l'advisory la fa da padrone, senza dimenticare una suddivisione tra Nord, Sud e Centro per dare l'opportunità a tutti i professionisti di candidarsi e vincere. Ecco, dunque, che abbiamo pensato a riconoscimenti specifici per i cf lombardi, del Lazio, del Veneto, della Toscana, del Veneto e dell'Emilia-Romagna.
Nella categoria Miglior Consulente Finanziario del centro Italia, con molta soddisfazione sono stato premiato per il lavoro ed i risultati ottenuti in un anno complesso come il 2022.
Per aspera ad astra
8 Aprile 2023
Prima di investire in azionario devi essere pronto a farlo
Ci troviamo di fronte alla più grande guerra di nervi tra mercato ed investitore degli ultimi 20 anni. L'ultimo nuovo massimo storico per S&P 500 è stato il 3 gennaio 2022. Sono passati 450 giorni, più di un anno dal picco del mercato americano, ma anche similmente degli altri mercati principali globali.
Può sembrare un’eternità ma numeri alla mano non è proprio così.
Esaminando ogni mercato ribassista a partire dal 1950 i dati dicono che:
Includendo l'attuale mercato ribassista:
- il drawdown medio dal picco al minimo è una perdita di poco inferiore al 35%;
- il numero medio di giorni per passare dal picco al minimo è 381, quindi poco più di un anno;
- il numero medio di giorni per passare dal picco precedente ai nuovi massimi storici è di 1.166 giorni o più di 3 anni.
Il premio al rimbalzo più veloce da un picco all'altro è stato il crollo del Covid nel marzo 2020. Sono bastati “solo” 6 mesi per i nuovi massimi. Prima di questo, il periodo di tempo più breve per vedere di nuovo nuovi massimi era di 436 giorni ed è successo nel 1950.
Quindi può volerci del tempo per riprendersi completamente da un mercato ribassista.
Non so quanto tempo ci vorrà stavolta, ma non è insolito che il mercato azionario ti faccia sentire malissimo regolarmente. Funziona così il mercato azionario, ed è bene saperlo prima di investire i nostri risparmi per non incorrere in errori comportamentali e bias cognitivi.
Sono due le armi di cui devono munirsi gli investitori per uscirne vincitori, anche in questa ultima battaglia.
Un buon piano patrimoniale, personalizzato che ti permetta di sentirti SOLIDO ogni giorno della tua vita, ORGANIZZATO e CERTO che stai prendendo oggi la migliore decisione per il tuo domani.
Un buon bagaglio di nozioni che tengano a bada le emozioni nei momenti di stress.
A riguardo, uno dei miei grafici preferiti del mercato azionario a lungo termine mostra il tasso di successo storico su vari orizzonti temporali:
Storicamente più lungo è il tuo orizzonte temporale, maggiori sono le tue possibilità di vedere rendimenti positivi.
Su base giornaliera, il tasso di successo storico è solo del 55% circa, il che significa che il 45% di tutti i giorni di negoziazione sono stati perdite. E solo il 5% di tutti i giorni di negoziazione si è chiuso a nuovi massimi storici.
Ricorda: Negli investimenti mettiti sempre dalla parte giusta delle probabilità.
Fondamentalmente, più spesso guardi i tuoi investimenti nel mercato azionario, peggio ti sentirai dal momento che passiamo così tanto tempo in uno stato di ribasso.
Il famoso, Richard Thaler, ha anche dato un nome a questa perversa mania dell’investitore, ossia, miope avversione alla perdita.
L'avversione alla perdita è l'idea che le perdite facciano male il doppio dei guadagni che ci fanno sentire bene. E la miopia è l'idea che più frequentemente guardi il tuo portafoglio, più è probabile che tu provi la puntura dell'avversione alla perdita.
Più guardi, peggio ti sentirai riguardo alla tua performance.
Meno guardi, più spesso vedrai guadagni nel tempo.
Inoltre, non è che prestare maggiore attenzione al tuo portafoglio garantirà risultati migliori. Per la maggior parte degli investitori, prestare maggiore attenzione può portare a più errori perché quella miope avversione alla perdita ti tenta ad apportare più modifiche al tuo portafoglio, il che può portare a più errori dalle tue emozioni.
Certo, al giorno d'oggi non è facile ignorare i propri investimenti o il mercato azionario. Le informazioni sono ovunque ed anche consultare i propri portafogli è diventato a portata di click. Forse un po' troppo, quindi tieni a mente questi insegnamenti ed il mercato ti premierà.
Il capitale “protetto” dal tempo
Sin dagli studi di filosofia e fisica delle superiori sono rimasto affascinato dal concetto di tempo e del suo legame con la nostra vita.
Il tempo è gratis ma è senza prezzo.
Non puoi possederlo ma puoi usarlo.
Non puoi conservarlo ma puoi spenderlo.
Una volta che l’hai perso non puoi più averlo indietro.
L’autore è Harvey Mackay un uomo d'affari americano, autore e editorialista sindacato di Universal Uclick. La sua rubrica settimanale fornisce consigli sulla carriera e ispirazione ed è presente in oltre 100 giornali. Mackay è autore di sette libri bestseller del New York Times, inclusi tre bestseller numero uno.
Nel suo pensiero, ci sono molto insegnamenti validi anche nel mondo degli investimenti. Infatti nell’equazione del successo finanziario la variabile TEMPO è sempre la principale.
Negli ultimi giorni siamo stati tempestati da notizie sulla guerra tra Russia ed Ucraina e su crac bancari spesso super inflazionati e che hanno riportato alla mente il 2008.
Funziona così il mercato, e continuerà a farlo anche nel futuro quindi meglio imparare a dare il giusto peso agli eventi in base al tempo del nostro piano.
Questo è uno dei grafici di borsa a lungo termine preso da Ritholtz Wealth Management LLC, che spiega tantissimo sul mondo in cui vivranno i tuoi progetti finanziari.
E’ evidente la natura casuale del mercato azionario e di quanto possa essere irregolare la tua esperienza come investitore in azioni.
Ecco a seconda variabile che dovrai farti amica per vincere negli investimenti: la volatilità.
Se desideri ottenere rendimenti a lungo termine, non puoi sbarazzarti degli alti e bassi del mercato a breve termine. Questo è il compromesso che fanno e facciamo tutti quando decidiamo di beneficiare del mercato per ottenere “più soldi”.
Ci sono solo 2 modi per rendere complementare la variabilità del mercato alla nostra emotività da investitore:
- Potresti detenere più liquidità o obbligazioni per smorzare la volatilità del tuo portafoglio complessivo;
- Estendere il tuo orizzonte temporale.
Ora cerchiamo di spiegare il titolo dell’articolo con alcuni dati esaminando la gamma di risultati su intervalli di tempo più lunghi.
Ecco i rendimenti annuali migliori e peggiori per lo S&P 500 su periodi di 1, 3, 5, 7, 10, 15, 20 e 30 anni dal 1926 al 2022:
Ci sono evidenze clamorose che risaltano qui:
La gamma di risultati si restringe man mano che vai avanti.
Più è lungo l’orizzonte temporale più sparisce la parola “worst”, peggiore, dalle possibilità di rendimenti.
Hai presente quando il tuo consulente, se lo hai, di lungo periodo? Bè non è una frase fatta ma ha prove statistiche che lo fanno essere un mantra negli investimenti con elevata percentuale di azionario.
Infatti puoi rimanere schiacciato dal caso per un periodo di 1-5 anni. È possibile ma altamente improbabile che accada se resisti per 20-30 anni.
Puoi ancora avere scarsi risultati a lungo termine, ma non nulla di simile al tipo di mercati negativi che vedrai a breve termine.
ATTENZIONE: Non ti viene garantito nulla estendendo il tuo orizzonte temporale. Ma i numeri storici mostrano che il rischio della coda sinistra di essere annientato si allontana lentamente man mano che gli anni si sommano. Il tempo aumenta le tue probabilità di vincente sul mercato.
Le probabilità storiche favoriscono l'investitore a lungo termine.
Oltre il 75% dei periodi di 20 anni ha registrato rendimenti annuali dell'8% o superiori. Quasi il 96% dei periodi di 30 anni ha avuto rendimenti annuali del 9% o più.
In 30 anni si tratta di un rendimento totale di oltre il 1.300%. Il peggior rendimento di 30 anni è stato di oltre l'800%!
Il profilo di rendimento a lungo termine del mercato azionario ha più che compensato le sue carenze occasionali a breve termine.
Vedremo una ripetizione di questi risultati in futuro?
Non lo so.
Ma non vedo che la relazione tra l'esperienza di lungo periodo e quella di breve termine dell'investimento nel mercato azionario cambierà presto.
La pazienza sarà comunque premiata. Gli investitori a lungo termine avranno sempre una maggiore probabilità di successo rispetto agli investitori a breve termine.
La variazione dei rendimenti sarà sempre maggiore nel corso di giorni e mesi che di anni e decenni.
Investire a lungo termine non sarà mai facile, ma rimarrà la soluzione migliore per la stragrande maggioranza degli investitori per ottenere solidi rendimenti nel mercato azionario.