Ogni lavoratore prima o poi si troverà a dover affrontare l’argomento del trattamento di fine rapporto (TFR). Vediamo insieme alcuni punti per saperne di più.
Cos’è il TFR
TFR sta per Trattamento di Fine Rapporto ed è la somma che si matura durante tutto l’arco del rapporto lavorativo e che spetta al lavoratore dipendente – dotato quindi di un contratto di tipo subordinato, sia esso a tempo determinato o indeterminato, del settore pubblico o privato – al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Nella vulgata comune, è noto anche come liquidazione.
Il TFR spetta al lavoratore indipendentemente dalle ragioni della cessazione del rapporto di lavoro: dunque non solo per il raggiungimento dell’età della pensione ma anche per licenziamento, dimissioni o – nel caso di un rapporto a tempo determinato – per scadenza del contratto di lavoro con l’azienda.
Come si calcola
Per sapere quanto TFR abbiamo maturato fino ad oggi, dobbiamo procedere a un conteggio che non è poi così fuori dalla portata del contribuente.
- Innanzitutto, sommate la retribuzione lorda che vi ha corrisposto l’azienda per ogni anno di lavoro svolto finora.
- Fatto? Ok: adesso dividete il risultato che avete ottenuto per 13,5.
- Ma non finisce qui. Considerate, infatti, che al 31 dicembre di ogni anno, tranne il primo, il TFR maturando viene ritoccato al rialzo sulla base di un tasso fisso pari all’1,5%, cui si aggiunge il 75% dell’incremento dell’inflazione rilevato per l’anno precedente.
Come viene tassato il TFR?
Al TFR non si applica la tassazione IRPEF ordinaria, ma un’aliquota media calcolata prendendo come riferimento le aliquote IRPEF degli anni precedenti alla liquidazione. Questo per un principio di equità fiscale: tassare un reddito prodotto in un arco di tempo pluriennale in base alle aliquote di riferimento dell’anno di incasso sarebbe infatti svantaggioso e non equo per il dipendente.
A occuparsi del computo e del pagamento è il datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta. Poi, però, interviene l’Agenzia delle Entrate, che ricalcola l’imposta dovuta sulla base dell’aliquota media dei cinque anni antecedenti alla cessazione del rapporto di lavoro: se il risultato supera di più di 100 euro la rilevazione del datore di lavoro, l’Agenzia delle Entrate manda un avviso di pagamento al diretto interessato. Se invece il datore di lavoro ha trattenuto più del dovuto, l’Agenzia procede al rimborso.
Anticipo del TFR
La legge permette al dipendente, in determinati casi e a certe condizioni, di chiedere all’azienda un anticipo del TFR accantonato. Ma questa possibilità è riservata esclusivamente ai dipendenti con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro. Non solo: il lavoratore può chiedere un’anticipazione non superiore al 70% del TFR cui avrebbe diritto se il rapporto cessasse alla data della domanda.
Per evitare l’assalto alle casse dell’azienda, poi, la legge pone due limiti alle richieste di anticipazione del TFR che si possono soddisfare in un anno: massimo 10% degli aventi titolo e non più del 4% del totale dei dipendenti.
Infine, l’anticipo si può richiedere solo e soltanto per spese sanitarie per terapie o interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche o per l’acquisto della prima casa per sé o per i figli (con tanto di atto notarile). Ci si può avvalere dell’anticipo solo una volta nel corso del rapporto di lavoro. E, ovviamente, l’anticipazione viene sottratta dal TFR finale.
In azienda o in un fondo pensione?
I numeri parlano chiaro. Il Sole 24 Ore, grazie ai dati forniti dal fondo pensione territoriale Solidarietà Veneto, ha realizzato una simulazione analizzando il portafoglio di un investitore che 10 anni fa ha deciso di aderire a un fondo negoziale, confrontandolo con il guadagno che lo stesso investitore avrebbe realizzato decidendo invece di lasciare il TFR in azienda.
Ebbene, il nostro investitore si trova oggi con un portafoglio decisamente più ricco di quello che avrebbe ottenuto se avesse fatto affidamento solo sulla rivalutazione del TFR. Naturalmente il rendimento ottenuto varia a seconda del comparto scelto all’interno del fondo negoziale: si va dal più rischioso (dinamico) a quello più prudente (nel caso di Solidarietà Veneto si chiama “TFR Garantito” e mira a conseguire rendimenti pari o superiori al tasso di rivalutazione del TFR garantendo la restituzione del capitale investito e un rendimento triennale netto almeno pari alla rivalutazione netta del TFR in azienda).
Ricordiamo che alle posizioni dei fondi pensione contribuiscono non solo il trattamento di fine rapporto, ma anche il contributo volontario del lavoratore e il conseguente contributo del datore di lavoro, che è tenuto a erogare – in base agli accordi collettivi – solo se il lavoratore opta effettivamente per il versamento di un contributo volontario.
Di seguito la simulazione, calcolata ipotizzando un TFR maturato pari a 19mila euro, che funge da capitale di partenza. I dati si riferiscono al rendimento maturato sul capitale nel periodo 2007-fine 2016.
E se l’azienda è insolvente?
La legge 297/1982 ha istituito il Fondo di Garanzia per il Trattamento di Fine Rapporto2, per il pagamento del TFR in sostituzione del datore di lavoro insolvente.