Si avvicinano sempre più le elezioni europee tra slogan e sovranisti alla riscossa. Vediamo le ultime proiezioni cosa raccontano.
Niente terremoti, per ora.
La seconda proiezione dell’Europarlamento sul voto di maggio 2019 immortala il quadro di un cambiamento moderato, rispetto alle attese di una «onda sovranista» pronta ad abbattersi sugli equilibri della Ue.
Il Partito popolare europeo e il Partito socialista europeo, le famiglie del centrodestra e del centrosinistra in Europa, viaggiano rispettivamente su una stima di 181 e 135 seggi su 705 (36 e 51 in meno dal 2014, con un’emorragia drastica soprattutto a sinistra).
Poco? Sicuramente meno di quanto serve per assicurarsi la maggioranza assoluta a Bruxelles, ma la flessione è bilanciata dai 75 seggi attribuiti all’Alleanza dei Democratici e dei Liberali e per l’Europa (+6 rispetto al 2014): una coalizione fra i tre garantirebbe un blocco da quasi 400 seggi al Parlamento, senza escludere un appoggio esterno dei Verdi (proiettati a 49 seggi, un po’ al di sotto degli entusiasmi dello scorso autunno) e altre forze minori.
Sull’altra sponda della barricata, la sigla populista dell’Europa delle nazioni e della libertà si aggira su stime di 59 seggi (un balzo di 22 seggi dal 2014, trainata dai 28 scranni stimati per la Lega di Salvini), mentre l’Europa della libertà e della democrazia diretta si accontenta di 39 poltrone (contro le 41 della legislatura in scadenza, con 21 seggi in arrivo dai Cinque stelle).
La somma dei due sfiora appena i 100 seggi: una dimensione insufficiente per tenere in ostaggio l’Eurocamera o «salvare la Ue dal bunker di Bruxelles», come promettevano i leader più agguerriti, anche se non vanno trascurati i segnali di insofferenza per l’establishment comunitario.
Insomma al momento sembra ci si avvii verso un cambiamento moderato, sicuramente un ammodernamento della Ue originaria forse diventata troppo rigida ed antiquata per le dinamiche mondiali.